Attraverso le Alpi del Sud
La viabilità transfrontaliera/1
Dal Colle di Tenda al Colle della Maddalena, la linea principale dello spartiacque alpino italo-francese si sviluppa da sud-est verso nord-ovest, assumendo la forma di un aperto semicerchio che culmina nel Monte Gelàs (3143 m). La displuviale presenta una ricca serie di depressioni e avallamenti naturali che fin dai tempi più antichi sono stati attraversati da vie di comunicazione tra un versante e l’altro. La maggior parte di questi valichi riveste oggi un interesse soltanto escursionistico, ma alcuni di essi, adeguati alle esigenze moderne, hanno mantenuto una importante funzione di collegamento e di transito commerciale.
I valichi nel corso dei secoli
Fonti archeologiche e storiche raccontano la frequentazione di alcuni valichi delle Alpi Marittime fin dalla preistoria. In origine, il passaggio dei colli è legato alla transumanza e allo scambio di sale e altre merci lungo piste e tratturi che collegano la Pianura Padana ai pascoli in quota, e questi ai territori rivieraschi. Due sono le principali direttrici di transito: quella nord-sud, che va dalla Pianura Padana al mare attraverso il Colle di Tenda, e quella est-ovest, che mette in collegamento sempre la Pianura Padana questa volta con la Provenza passando per il Colle della Maddalena.
Le montagne rallentano la conquista e la colonizzazione del territorio da parte dei Romani, che possono dirsi concluse solo nell’anno 14 a.C., con la sottomissione delle tribù dei Liguri Montani delle Alpi Marittime. Anche dopo l’annessione, le grandi arterie dell’Impero hanno sempre evitato questi rilievi ripidi e severi, attraversati solo da itinerari secondari che seguivano le due direttrici principali attraverso il Colle di Tenda e il Colle della Maddalena.
Alla caduta dell’Impero d’Occidente (476 d.C.), le antiche vie romane cadono in rovina e i traffici cessano quasi del tutto. Seguono secoli d’instabilità politica e solo a partire dall’XI-XII secolo riprendono i passaggi di carovane commerciali, di viandanti e di pellegrini lungo le vie alpine più frequentate dei colli di Tenda, di Finestra e della Maddalena. Intanto le montagne iniziano a essere sempre più abitate e coltivate: nascono e si sviluppano villaggi la cui economia poggia sull’agricoltura, sull’allevamento, sul legname e sui trasporti. Quest’ultimo settore vede impegnati un gran numero di mulattieri, portatori e proprietari di locande.
A partire dal XIII secolo, il Colle di Tenda assume una crescente importanza commerciale, mentre il Colle della Maddalena diventa decisivo dal punto di vista militare. I valichi meno agevoli attraverso il massiccio centrale delle Alpi Marittime (Finestra, Ciriegia, Lombarda) assumono una certa rilevanza solo per brevi periodi di tempo, legati a particolari situazioni politiche: durante l’annessione del cuneese alla Provenza (1259-1382) e per i circa due secoli che vanno dall’unione della Contea di Nizza al Ducato di Savoia (1388) fino all’inclusione della Contea di Tenda nei possedimenti sabaudi nel 1581, che segna l’abbandono di tali vie.
In età Moderna, le guerre di successione delle varie dinastie regnanti europee sono causa di continui scontri e avvicendamenti di truppe, soprattutto attraverso le valli Ubaye e Stura, fin verso la fine del secolo XVIII, quando si concretizza l’unificazione del Piemonte sotto il regno di Casa Savoia.
A partire dal 1815, con l’annessione della Liguria al Regno di Sardegna, Genova diventa il principale porto ed emporio commerciale sabaudo: Nizza e i colli delle Alpi Marittime perdono così gran parte della loro importanza.
Durante l’ultimo conflitto mondiale, i passi delle Alpi Marittime sono stati teatro solo di operazioni militari secondarie. A partire dal dopoguerra, la funzione e l’importanza di questi valichi è limitata a interessi locali o escursionistici. L’unico commercio destinato a rimanere fiorente fino a tempi molto vicino a noi è quello illegale dei contrabbandieri.
“Pasar la Colla”: storie di uomini con lo zaino
«Il valico fa l’uomo contrabbandiere»: una volta stabilito il confine tra due Stati e là dove conviene aggirare i dazi su merci ambite sui due versanti, l’occasione è troppo ghiotta per lasciarsela scappare. In altre parole, la frontiera diventa un affare quando è difficile da attraversare, quando il confine è una linea presidiata da militari o doganieri che controllano il transito delle persone e il traffico delle merci.
È esattamente la situazione in cui si trovano i paesi delle Marittime a partire dalla primavera del ‘43, quando iniziano a scarseggiare i beni alimentari di prima necessità, fino ai primi anni ‘50. In quel periodo “pasar la colla”, attraversare il valico, diventa un’impresa rischiosa ma conveniente, tentata da molti giovani montanari. La “colla” per eccellenza era il Colle di Finestra, ma pur di sfuggire a doganieri e douanier d’oltralpe venivano utilizzati tutti i valichi secondari che davano accesso all’altro versante, compreso il malagevole Pagarì. Altri luoghi di passaggio erano il Passo del Clapier, il Passo delle Rovine, la Bassa dei Cinque Laghi, la Bassa di Prals e il valico che porta il nome eloquente di “Colle dei Ladri”.
I contrabbandieri passavano il confine illegalmente, organizzati in bande. Alcuni viaggiavano tutto l’anno, incuranti della neve e del pericolo delle slavine, altri soltanto nella bella stagione, a partire dalla metà del mese di agosto. Preceduti dalle vedette, i piccoli gruppi di contrabbandieri partivano dai paesi delle alte valli Vermenagna, Gesso, Roya e Vésubie di notte, con una cadenza regolare, che in alcuni casi prevedeva ben due viaggi alla settimana.
In Valle Gesso l’intensificarsi dei traffici illeciti cadeva intorno a Ferragosto: in quella data si incontravano presso il Santuario di Madonna di Finestra moltissimi pellegrini. Erano sia italiani che francesi, tanto italiani rimasti in Francia che italiani diventati francesi dopo la modifica dei confini nel 1947: tutti andavano al Santuario per pregare la Madonna, ma anche per incontrare i parenti rimasti sull’altro versante, per stare in compagnia e magari per prendere accordi tra complici e contrabbandieri. Infatti una volta passata la colla, ogni banda andava a svuotare gli zaini, pesanti fino a 30 chili, presso indirizzi ben precisi: «i nostri recapiti oltralpe erano: a San Martin (Saint Martin Vésubie) presso la casa di Gian di Os, a San Grato (Val Gordolasca) presso Janò» racconta una ex contrabbandiera di Entracque nelle sue memorie. Complici e contrabbandieri avevano un sistema di segni stabilito: un lenzuolo bianco steso alla finestra della casa del mediatore significava che la via era libera e si poteva effettuare lo scambio. Talvolta invece era più prudente fermarsi a poca distanza dal paese, in qualche grangia dove attendere le persone di fiducia che sarebbero venute a acquistare o scambiare le merci.
Sulle schiene dei contrabbandieri viaggiava un import-export di merce povera. Dall’Italia erano richiesti principalmente riso, oggetti di rame, cordame in canapa, calze di nylon e qualche volta zucchero; dalla Francia partivano soprattutto cartine per le sigarette, saccarina, caffè, pietre focaie, pelli da conciare e occasionalmente pecore e capre.
I contrabbandieri che lasciavano la Valle Gesso si incamminavano a sera inoltrata, verso le 22-23, e marciavano tutta la notte per arrivare a destinazione al mattino. Scambiata la mercanzia, si riposavano un poco per ripartire nel tardo pomeriggio: sarebbero tornati a casa al mattino del giorno seguente. Ogni viaggio richiedeva dunque due giorni e non era privo di pericoli. Occorreva essere molto astuti e prendere ogni precauzione: per esempio «a Entracque, un’ora o due prima della partenza, si andava all’osteria o si passeggiava per il paese accordandosi magari per il ballo della domenica: si cercava cioè di depistare eventuali spioni. Dalla parte francese, ad un certo punto ci si mise d’accordo di non scendere più ai paesi, ma di approfittare delle baite sparse in giro. Così i francesi venivano addirittura su coi muli; i muli, dalla nostra parte, eravamo noi!».
Sul versante francese essere sorpresi dai douanier non aveva gravi conseguenze sul piano legale: ai contrabbandieri italiani fermati e portati in caserma veniva sequestrata la merce, poi c’era il rimpatrio in treno via Nizza e Ventimiglia. «Così noi donne per la prima volta abbiamo visto il mare!» commenta l’esito di una spedizione sfortunata una contrabbandiera della Valle Gesso arrestata a diciassette anni nel settembre del ‘45. In Italia il reato di contrabbando era considerato più grave e sanzionato con maggiore severità: per la contrabbandiera recidiva, sorpresa in flagrante con un grosso carico nel luglio del 1946 arriva la denuncia al tribunale.
Dopo la guerra la sorveglianza aumenta e le varie bande sono costrette a sviluppare una certa solidarietà: se qualcuno si accorgeva dei movimenti di carabinieri o di finanzieri e si sapeva che c’era un gruppo “in spedizione”, si provvedeva in qualche modo a avvisare i “colleghi”. Inoltre le vedette che precedevano, veloci e senza zaino, il resto della banda erano state dotate di una pila elettrica: il segnale bianco era il via libera, quello rosso indicava un pericolo.
Ancora all’inizio degli anni ‘50 il contrabbando era un aiuto all’economia di molte famiglie, ma con la progressiva ripresa delle attività in pianura smette rapidamente di essere un buon affare: l’industria offre migliori compensi a un prezzo più basso in termini di rischi e di fatica.
Si chiude così la stagione del commercio illegale nei paesi di frontiera delle Alpi Marittime. I sentieri di collegamento tra le valli italiane e francesi e i percorsi che uniscono i vari comuni montani cadono in disuso per anni, a favore delle strade di fondovalle, ampliate a asfaltate. La rete viaria tradizionale, una sorta di reticolo che metteva in collegamento le frazioni e le borgate con i paesi e i paesi tra loro viene progressivamente abbandonata e rimpiazzata da un modello di viabilità a lisca di pesce, i cui elementi portanti sono le strade di fondovalle. L’unico modo per riscoprire oggi il fascino degli antichi tracciati è seguire le orme dei contrabbandieri e incamminarsi con lo zaino in spalla attraverso le Alpi del Sud.
Per muli e per cannoni: le strade militari nelle Alpi del Sud
Nel 1861 la Contea di Nizza diventa francese e nasce il Regno d’Italia sotto la guida di Vittorio Emanuele II. Nel giro di pochi anni, i rapporti tra Italia e Francia si fanno tesi: le esigenze strategiche rendono allora di primaria importanza il rafforzamento dello schieramento difensivo sul fronte occidentale. Negli ultimi decenni dell’Ottocento prende così avvio la costruzione di caserme difensive, baraccamenti, ricoveri e posti di vigilanza su tutti i valichi alpini delle Alpi del Sud. Per raggiungere e approvvigionare gli insediamenti in quota, si rende necessario l’adeguamento della rete viaria preesistente alle mutate esigenze belliche e lo sviluppo di nuove vie di comunicazione, sia nei fondovalle che sui versanti in quota. Parallelamente, sorgono itinerari di raccordo trasversali che uniscono colli vicini, nati per permettere a truppe e salmerie di spostarsi da un valico all’altro affrontando il minor dislivello possibile.
La Valle Gesso, che, per la natura aspra e impervia del suo territorio e per l’altezza delle cime e dei valichi, è stata sempre considerata una via di invasione adatta solo a piccoli contingenti di fanteria, non ha mai visto la costruzione di fortificazioni permanenti di grandi dimensioni. Nonostante ciò, la rete viaria qui realizzata è molto estesa e vanta radici anteriori alle esigenze strategiche del Regno d’Italia. Infatti, già a partire dal 1857, Vittorio Emanuele II, una volta ottenuta l’esclusiva di caccia sui territori dei comuni di Entracque e Valdieri, aveva dato il via alla costruzione delle mulattiere e dei sentieri indispensabili per le battute al camoscio in quota. A partire dalla fine dell’Ottocento, la rete viaria esistente inizia a essere ampiamente sfruttata anche per scopi militari, spesso dopo lavori di ristrutturazione e ammodernamento che la rendono idonea a soddisfare le nuove necessità. Nel corso dei decenni, continue modifiche si succedono sugli stessi itinerari, vuoi per allargare la sede stradale, vuoi per ridurre le pendenze, vuoi per aumentare il raggio di curvatura dei tornanti, allo scopo di agevolare il passaggio di salmerie o il traino dei pezzi di artiglieria. In molti casi, i nuovi interventi cancellano i tracciati precedenti, altre volte è invece ancora possibile individuare le tracce degli interventi effettuati nel corso degli anni. Un esempio emblematico riguarda la viabilità al servizio della Bassa del Druos. Una menzione particolare va riservata alla mulattiera “Baraccamenti di Valscura-Ricoveri di Fremamorta”. Questo ardito tracciato, realizzato tra il 1906 e il 1909, si snoda per oltre 10 km a quote superiori ai 2000 metri collega, di fatto, gli schieramenti difensivi del Druos e di Fremamorta. Riattata dal Battaglione Dronero (probabilmente nel 1929 o negli anni immediatamente successivi), preserva tratti lastricati con incredibile maestria che si snodano attraverso distese di sfasciumi rocciosi e che suscitano ancor oggi stupore in chi li percorre per la prima volta. Circa a metà del tracciato era stato costruito il Ricovero delle Portette, oggi diventato il rifugio Emilio Questa. Dismessa la loro funzione militare, strade, mulattiere e sentieri sono oggi percorsi da migliaia di escursionisti, che salgono comodamente lungo i vecchi tracciati, dalle pendenze pressoché costanti. Solo di rado, tuttavia, chi passa si ferma a riflettere sulla perizia e sulla fatica che hanno reso possibile il loro incedere spedito e spensierato su terreni e pendii altrimenti sconnessi e malagevoli. Tracciare una strada militare in montagna era un affare serio: bisognava infatti tener conto di molti fattori. Si doveva adattare il percorso al terreno, assecondandolo; si doveva cercare riparo dai venti principali; trovare una buona esposizione che limitasse la formazione di ghiaccio e la permanenza della neve al suolo; evitare il rischio di frane e valanghe sulla carreggiata. E non era tutto! Una strada militare doveva anche essere defilata al tiro e all’osservazione del nemico, ma nello stesso tempo ben visibile e sotto il tiro delle artiglierie amiche per non compromettere la sicurezza delle postazioni difensive. Al termine della Seconda Guerra Mondiale, con la distruzione delle fortificazioni di confine imposta all’Italia dal trattato di Parigi del 1947, anche le la rete viaria militare perde d’importanza: dismesse e abbandonate dall’Amministrazione militare, nonostante la cura con cui sono state costruite, le strade militari stanno lentamente scomparendo, inghiottite dalla montagna o ridotte a stretti sentieri. Con loro, andranno perdute anche le tracce di un intero periodo storico e mirabili opere di ingegneria.
Nella notte straniera: i colli della speranza
8 settembre 1943: l’Italia firma l’armistizio con le forze angloamericane l’esercito è allo sbando. Mentre l’ex alleato tedesco avanza, viene così meno ogni controllo italiano sui dipartimenti della Francia meridionale occupati dall’esercito fascista nel novembre 1942. La zona italiana, specialmente l’entroterra di Nizza e le Alpi Marittime, avevano accolto tra il 1942 e il 1943, con un sistema chiamato di “residenze forzate” o “assegnate”, diverse migliaia di ebrei per la maggior parte non francesi che si erano rifugiati nella Francia meridionale braccati dalla feroce persecuzione dei nazisti. Una delle località di residenza forzata è il paese di Saint-Martin-Vésubie, che finisce per accogliere oltre mille ebrei di varie nazionalità, sopravvissuti in relativa tranquillità fino alla data dell’armistizio. Pur essendo un sistema coercitivo, quello delle residenze forzate assicurava infatti una complessiva anche se precaria sicurezza. Questa viene meno dopo l’8 settembre, quando i militari italiani sbandati rimpatriano e il sistema delle residenze forzate crolla. In vista dell’imminente occupazione nazista, uomini, donne, anziani e bambini ebrei cercano scampo sull’altro versante delle Alpi, nella convinzione che la firma dell’armistizio abbia reso l’Italia un territorio sicuro. A partire dal 13 settembre, un migliaio di persone si incammina attraverso i colli di Finestra e di Ciriegia. Raggiunta la Valle Gesso scendono verso i paesi di Entracque e di Valdieri. La traversata è faticosa, ogni passo è appesantito dalla paura e dalla fatica di chi non è abituato a camminare in montagna. D’altro canto chi rimane a Saint-Martin è prelevato dai nazisti al loro arrivo e immediatamente deportato. Ma in Italia la situazione è compromessa. Negli stessi giorni i nazisti occupano Cuneo (12 settembre). Il 18 settembre, un bando del comando SS intima agli «stranieri…nel territorio di Borgo San Dalmazzo e dei comuni vicini» di presentarsi al «Comando Germanico in Borgo San Dalmazzo, Caserma degli alpini». Trecentoquarantanove persone, soprattutto ebrei polacchi, francesi e tedeschi (ma anche austriaci, romeni, ungheresi e greci) si presentano spontaneamente o vengono rastrellate e rinchiuse nei locali della caserma, mentre gli altri cercano rifugio, in modo capillare, presso la popolazione delle valli e alcuni si uniscono alle bande partigiane. All’esterno del campo sorge un’organizzazione sia per l’assistenza agli internati, sia per aiutare le centinaia di fuggiaschi dispersi nel territorio. Questi ultimi vengono accolti da singole famiglie di montanari o messi in contatto con una rete di soccorso estesa da Genova fino a Milano e alla frontiera svizzera, che si vale principalmente della collaborazione dei parroci e dei viceparroci dei paesi montani (si ricordano, oltre a don Raimondo Viale, il “prete giusto” reso noto dal libro omonimo di Nuto Revelli, il viceparroco di Valdieri, don Francesco Brondello, recentemente riconosciuto “Giusto tra le Nazioni”). Molti ebrei riescono così a espatriare o a spostarsi, grazie a documenti falsi, verso l’Italia centrale: alcuni vengono nuovamente arrestati e deportati. Altri restano in clandestinità nel territorio, per lunghi mesi spostandosi di valle in valle, spesso incontrando l’arresto o la morte; altri si uniscono alle bande partigiane. Per gli internati “stranieri” della caserma la sorte è comunque segnata. Il 21 novembre 1943, su ordine dell’Ufficio antiebraico della Gestapo di Nizza, vengono condotti alla stazione; di qui, caricati su carri merci e avviati verso Drancy, via Savona-Nizza. Sono più di trecento e tutti sarebbero partiti da Drancy per Auschwitz entro il 27 gennaio del ‘44. Non più di dieci persone arriveranno a vedere la Liberazione.
Per approfondire: carta A “Le vie di comunicazione” e carta B “Le opere militari”.
Sito realizzato nell'ambito del PIT "Spazio transfrontaliero Marittime Mercantour" Programma ALCOTRA 2007-2013 e rivisto e aggiornato con il progetto: