Geologia dello spazio transfrontaliero

Impronte pietrificate del passato della Terra

Il Regno minerale dei Parchi Mercantour e Alpi Marittime custodisce numerosi segni del passato terrestre: sono registrazioni pietrificate di condizioni ambientali del pianeta tramandate da tempi lontani, ma sempre disponibili alla nostra esplorazione. Rocce e minerali non volano via, né sfioriscono e neppure saltano altrove sfuggendoci: così le regole naturali degli ambienti antichi (paleoambienti) restano a nostra disposizione e possiamo leggerle nei panorami dei grandi spazi, ma anche sotto i nostri piedi quando si scioglie la neve. Nei due Parchi, ormai privi di copertura glaciale, appare in estate oltre l’80% delle rocce terrestri, in varie quantità.

La geologia non è una passerella attraverso il museo del passato: è una scienza che rende possibile configurare il futuro a partire dallo stato dei giorni nostri e dalla riflessione sulla storia condensata nelle rocce. Un forte valore di queste conoscenze è quindi la doppia possibilità da un lato di decifrare la natura di oggi per comprendere i cambiamenti del passato, e dall’altro di fare il ragionamento inverso, trovando nella registrazione degli eventi geologici la chiave per interpretare ciò che avverrà sul lungo periodo. La geologia ci invita a soffermarci sulla dimensione dell’intera vicenda dell’universo: quando in una notte serena alziamo gli occhi al cielo tenendo i piedi saldamente piantati su rocce antiche di milioni d’anni, il tenue splendore che colpisce i nostri occhi viene da altri mondi, da cui la luce è partita quando quelle rocce erano ancora giovani...

Scoprire e interpretare le rocce

All’interno dei due Parchi non è proibito guardare da vicino, anche con una lente, i granuletti minerali che le compongono ma attenzione, solo lo studio in loco è consentito, salvo nell’ambito di studi geologici formalmente autorizzati non si possono asportare le rocce!

A guidarci nell’esame delle rocce sono poche famiglie di minerali: la loro abbondanza e l’aggregazione in strutture ben distinguibili ci indicano le condizioni dei luoghi generatori delle rocce (ambienti petrogenetici), che possono essere continentali o marini, e ci danno notizie sugli ambienti petrogenetici profondi cui non abbiamo accesso diretto, come la crosta inferiore e il mantello.

Ogni famiglia di rocce è il risultato di processi naturali accaduti in passato nel guscio esterno che fascia tutta la Terra e che forma le placche  (la litosfera). A riposo, la litosfera è spessa 100-200 chilometri e mostra diversi effetti e relazioni con altre sfere terrestri. Quanto avviene nella litosfera ci invita a un’insolita maniera di viaggiare nello spazio e nel tempo e ci illumina sul funzionamento terrestre, lento ma attivo, permettendoci di immaginare il futuro con le conoscenze di oggi.

La maggior parte dei percorsi nei due Parchi offre occasioni per completare la propria consapevolezza ambientale e per apprezzare i cambiamenti del volto del pianeta in accordo con la realtà del dialogo tra le sfere naturali della Terra.

Scegliamo qualche esempio di come le rocce possono raccontarci una lunga storia fatta di interazioni fra roccia, aria, acqua ed esseri animati, originata cioè dalle complesse interazioni fra litosfera, atmosfera, idrosfera e biosfera. Le spesse successioni degli strati di rocce sedimentarie detritiche (lito-areniti continentali di colore rosso-viola) delle gole della Val Roya, di Fontanalba, Valauretta e della Valle delle Meraviglie ereditano i colori di un clima desertico ossidativo, che mostra la relazione tra atmosfera, idrosfera e le rocce crostali di superficie, diffusa su alcuni continenti della Terra nel Periodo Permiano (durato da 300 a 250 milioni d’anni fa).

La semplice esistenza di detriti immaturi, non depurati dall’alterazione chimica durante un lungo trasporto di superficie, richiede una catena di cause concordanti e interconnesse. Si inizia individuando un meccanismo di petrogenesi sedimentaria che contempla la demolizione di rocce madri, generatrici di enormi quantità di detrito arenaceo (sabbioso), il loro trasporto fluviale da una vicina catena montuosa in efficace sollevamento (la catena varisica) e la sedimentazione in grandi bacini (depressioni) in continuo approfondimento entro un continente (emerso). La riduzione di spessore della crosta necessario a mantenere grandi spazi depressi alla superficie, avviene con l’azione di fratture e faglie dirette (di distensione) ed è frutto dalla divergenza delle placche litosferiche. Il minor spessore crostale innesca decompressione e parziale fusione delle rocce in profondità. I fusi (magmi) risalgono alla superficie lungo le nuove fratture della crosta e l’attività vulcanica forma i livelli di ceneri e rioliti a riflessi argentei intercalate nelle arenarie permiane.  

Il tratto marittimo-provenzale del sistema montuoso di età varisica in corso di distruzione nel Permiano, s’è formato in armonia con altri lenti movimenti litosferici d’importanza tettonica globale nel continente geologico Europa e contiene molte rocce e strutture crostali profonde, generate dall’attività tettonica convergente di aggregazione del supercontinente Pangea. Presso Saint-Martin-Vésubie, ai due lati della valle, e a Sud di Mollières (Tête des Marges), già nel Periodo Carbonifero si trovavano conglomerati continentali, accumulati in depressioni intramontane mentre il rilievo montuoso varisico era in formazione.

Alla Valletta di Prals, si ammirano infine sedimenti arenacei con resti di Pteridofite (felci fossili dello Stefaniano). La loro struttura tettonica odierna mostra che sono stati dapprima deposti al di sopra, e poi inseriti per qualche chilometro dentro alle rocce profonde del basamento cristallino, perché coinvolti da faglie inverse (sovrascorrimenti) e piegamenti imposti dalla convergenza litosferica della catena varisica. Simili implicazioni di rocce sedimentarie continentali (rocce litificate, ma non metamorfiche) sono esposte all’Engiboi, in Gordolasca e al Vei del Bouc nella Valle del Gesso di Moncolomb. In quest’ultimo caso, gli strati bianchi che appaiono nel fondo valle al di sopra del lago, sono sedimenti salini (gessi) di mare costiero che si erano depositati (quasi orizzontalmente) nel Periodo Triassico in un bacino pavimentato dalle rocce metamorfiche che ora li racchiudono. I sedimenti bianchi sono oggi inseriti al loro interno in posizione verticale, a causa di una faglia di raccorciamento crostale (linea tettonica del Colle del Sabbione) e la costruzione di questa nuova condizione strutturale (architetturale) fra sedimenti e rocce cristalline deve essere questa volta attribuita all’ambiente tettonico di convergenza litosferica che ha causato l’orogenesi alpina. Si deve notare che il moto della profonda faglia crostale che ha raddrizzato, contorto e profondamente inglobato gli strati bianchi, ha un’età (dell’ambiente tettonico) successiva di almeno 100 milioni di anni rispetto a quella della loro sedimentazione (età dell’ambiente sedimentario). Chiarire variazioni e tempi degli ambienti attraversati dalle rocce è il mezzo per ricostruire la geologia dai fatti reali e di fissarli nello spazio-tempo geologico.

Le rocce ci parlano del passato e del futuro dell’intero pianeta

Le informazioni che ricaviamo sulle condizioni della Terra in altri tempi riguardano argomenti molto ampi: resti fossilizzati di organismi manifestano l’attività della biosfera del passato e collegano le rocce alle forme di vita d’ogni tipo. Allo stesso modo molti minerali, e specialmente gruppi (associazioni genetiche) di minerali, sono caratteristici di ambienti della superficie di continenti, degli oceani, del mantello terrestre o dei bacini sedimentari marini. Gli ecosistemi sono alloggiati nella parte superiore del globo, un ambiente fragile perché si trova al contatto tra molte sfere terrestri: idro-, crio-, atmo- e lito-sfera. Questo sistema globale, che funziona in tempi molto dilatati, è sempre mutevole nella rincorsa tra squilibri ed equilibri, ed è capace di suscitare adattamenti o distruzioni nella biosfera, che rimangono poi fossilizzate. I moti delle placche litosferiche rispetto al mantello innescano cambiamenti profondi e superficiali nelle croste di continenti e oceani; costruiscono nuove rocce magmatiche e metamorfiche in ambienti profondi, per variazione della pressione (profondità) e del campo termico, oppure in superficie con l’apertura e chiusura delle depressioni bacinali che ricevono rocce degradate da alture circostanti. Molte combinazioni delle specie minerali che formano singole rocce sono da considerare come la registrazione fossilizzata delle relazioni meccaniche e chimiche tra zone della litosfera per sempre inaccessibili, ma che ci serve conoscere per individuare utili risorse.

La gran parte delle rocce d’origine metamorfica dei due Parchi si è formata in conseguenza dello sviluppo della catena montuosa varisica europea, fra 350 e 280 milioni d’anni. L’aumento anomalo dello spessore della crosta, generato dalla collisione di continenti, ha prodotto a quel tempo due fatti concatenati: si sono formate enormi masse di migmatiti (rocce miste, dette ultrametamorfiche, in quanto parzialmente fuse) alla base della crosta ispessita, dove rocce preesistenti sono state nuovamente “forgiate” ad alte temperature (superiori ai 700 °C) e pressioni sino a quelle della base di un continente quasi raddoppiato. Le parti fuse delle migmatiti si sono raccolte in grandi volumi, a formare magmi capaci di migrare sino alla parte superiore della crosta, per raffreddarsi sotto forma di graniti, sotto un tetto di rocce più fredde. Le rocce granitiche, che occupano il centro del massiccio, mostrano i meccanismi tettonici d’intrusione di un plutone e l’arresto (contatti intrusivi) del magma sotto il suo tetto crostale, intorno alle Cayre Archas (Boréon-Adus), sotto la Testa San Giovanni (Terme di Valdieri), nei versanti Nord e Ovest di Tablasses e nei circhi di Portette-Tavels. Il meccanismo di arresto del magma in risalita dalla crosta profonda, contro le rocce soprastanti, è illustrato al meglio sulle pareti del circo glaciale di Préfouns-Tablasses: blocchi di rocce nerastre del tetto che copre il plutone paiono cadere distaccandosi dalla crosta metamorfica e fluttuare nel fuso granitico. Sui sentieri dal Colle di Salèses verso il Réfuge des Adus o la Vacherie du Barn si può attraversare il contatto di margine Sud della camera magmatica del granito con le rocce circostanti, interrotto da una sottile e taglientissima faglia verticale alle Caire Garons-Chassi.

Quanto si comprende sul meccanismo d’intrusione al tetto non è sufficiente, e come per tutte le rocce la semplice esistenza del plutone granitico richiede di trovarne il processo di generazione. Alla base profonda della catena varisica, nelle migmatiti formate durante questa orogenesi (ora visibili in ogni valle grazie al sollevamento collisionale di età alpina), si dimostra come avviene la raccolta del materiale minerale fuso di colore chiaro che va a formare le masse di granito. Una pressione differenziale esercitata dal carico crostale sui livelli alternati chiari e scuri delle migmatiti può spremere il fuso e avviarlo verso l’alto dentro a canali trasversali. Nella roccia-madre ora ne rimane un aggregato minerale di colore bianco. È necessario calarsi nell’ambiente della roccia generatrice, calda e plastica nella base di un continente per poter immaginare il meccanismo chimico e meccanico che costruisce la migmatite e il fuso granitico.

Nei due Parchi sono frequenti le zone con rocce intensamente rinnovate nella struttura granulare lungo direttrici di deformazione che rappresentano strette e lunghe faglie traslative. Alla terminazione Sud del Lac Nègre il granito presso Caire Ponciù appare invaso da fitti sciami di sottili superfici nerastre quasi-parallele, che marcano la riduzione della taglia dei minerali; non si tratta di una nuova roccia, ma di una nuova “veste strutturale” (tessitura) impressa nel granito lungo uno stretto corridoio dov’è avvenuta frizione viscosa tra i minerali a causa del moto relativo di due grandi blocchi di crosta continentale (una zona di faglia). Una permeabilità per frattura è divenuta efficace durante la frizione, a profondità intorno ai 15 chilometri (circa un terzo dello spessore della crosta dopo la collisione di età alpina tra l’Africa e l’Europa), e ha aperto la via al passaggio di fluidi caldi che hanno depositato aggregati idrotermali di silice e carbonati entro agli spazi di fratture in dilatazione. Numerosi luoghi espongono oggi nei Parchi fratture crostali di varia profondità: il Colle del Sabbione, la prima soglia glaciale in rocce montonate sul sentiero di fondovalle dal Rifugio Genova verso il Brocan, la Punta Pineta di Mollières.

Campi di frattura e acque termali

Un segno della deformazione della crosta superiore fredda è la fratturazione diffusa, impressa durante la collisione alpina in ambienti prossimi alla superficie; è una strutturazione aggiuntiva delle rocce, acquisita sino al recente geologico. È capace di guidare vari meccanismi erosivi e quindi di rendere multiforme e scenico il paesaggio attuale, imponendo pareti, creste, profonde incisioni, interagendo insieme al clima, alla composizione mineralogica e alla struttura delle rocce. I campi di frattura si snodano in fasce molto irregolari e gli sciami sono orientati secondo le direzioni che localmente dominano gli allineamenti di versanti, creste, torri, pareti, e la loro scultura attraverso la demolizione in frane di crollo, che alimentano i coni detritici ai piedi dei versanti in roccia. Le acque termali odierne, grande risorsa da sfruttare con la dovuta parsimonia protettiva (Berthemont les Bains, Bagni di Vinadio, Terme di Valdieri) scendono dalla superficie e risalgono dalla crosta proprio sfruttando la permeabilità di questi campi di frattura recenti. Il cedimento in corso del rilievo alpino attuale rispetto alle forze erosive, capaci di colmare e livellare la pianura del Po con enormi volumi detritici, fa comprendere il significato l’abbondanza di rocce detritiche che dal tardo Cretaceo, sino all’Eocene, si sono accumulate chiudendo la storia sedimentaria di tutte le unità tettoniche e stratigrafiche che fasciano sui due lati il nucleo cristallino Argentera-Mercantour. Sui due lati del cristallino in ogni successione di sedimenti vi sono diffuse prove erosive dell’esistenza di una catena alpina dal tempo del tardo Cretaceo: sono rappresentate da potenti successioni stratigrafiche di rocce torbiditiche, depositate da meccanismi di franamento lungo i canyon sottomarini che incidevano le piattaforme continentali e si distribuivano sui vasti fondali antistanti il continente che marginava le Alpi in embrionale formazione. La geologia dell’intero massiccio, sedimentario e cristallino racchiude quindi tutti gli avvenimenti geologici dei due interi cicli orogenici, varisico e alpino.

Si vedano anche le Carta E, F e G

Sito realizzato nell'ambito del PIT "Spazio transfrontaliero Marittime Mercantour" Programma ALCOTRA 2007-2013 e rivisto e aggiornato con il progetto: