Architettura e tecniche costruttive

Costruire con poco

Gli esseri umani hanno saputo adeguare i modi di costruire alle risorse disponibili nell’ambiente naturale. L’architettura tipica delle nostre valli lo testimonia. Che si tratti della pendenza dei tetti o dell’impiego di materiali reperibili nelle vicinanze dei luoghi di costruzione (legno, lose, pietre, argilla…), gli edifici possiedono una certa omogeneità che le lega a un territorio. Si possono distinguere alcuni “modelli”, le cui particolarità si attenuano progressivamente, ma senza mai perdersi, con l’allontanarsi dal loro territorio d’origine. A volte sono anche percepibili delle influenze esterne, giunte attraverso gli assi di comunicazione che percorrono lo spazio transfrontaliero.

L’architettura racconta

L’architettura racconta la storia delle società e delle relazioni che esse hanno avuto con il regno minerale, vegetale e animale. Capire cosa, come si è costruito e perché vuol dire scoprire molto dei costruttori e del loro mondo. Al di sopra del limite della coltura dell’ulivo nella zona francese, o della fascia pedemontana in quello italiano, lo spazio transfrontaliero presenta un gran numero di forme costruite, risultato delle diverse soluzioni architettoniche compatibili con le risorse e con i condizionamenti imposti dall’ambiente alpino.

Sul territorio si sono sviluppati principalmente due tipi di insediamento. Da un lato un’edilizia concentrata, raggruppata, di carattere urbano, che si esprime nella verticalità dei borghi francesi e nei tessuti edilizi continui di quelli italiani, e che corrisponde a un abitato permanente. Dall’altra parte un’edilizia sparsa, rurale, talvolta retaggio di forme e di tecniche di costruzione molto antiche, che corrisponde molte volte a un abitare temporaneo e a un’attività specifica. In entrambi i casi, con il materiale a disposizione negli immediati dintorni e contando sulla manodopera dei famigliari e dei vicini (si ricorre a un artigiano specializzato solo nel caso di costruzioni più elaborate), vengono costruite abitazioni che riuniscono molteplici funzioni nello stesso edificio: ricoveri di persone e animali, laboratori di produzione, trasformazione di materie prime e stoccaggio. La forma, il modello del fabbricato e le tecniche utilizzate sono un patrimonio condiviso da tutti i membri di una comunità, trasmesso di generazione in generazione.

Se questi modelli hanno saputo durare e conservarsi nel tempo non è stato soltanto grazie al relativo isolamento delle valli e dei paesi, ma soprattutto perché si trattava di modi assai perfezionati di fare molto con molto poco. Essi esprimevano cioè il meglio che si poteva realizzare, date circostanze e tecniche che a lungo si sono mantenute invariate o quasi.

I diversi tipi di costruzione offrono una gamma di modelli che va dalle costruzioni con tetti di paglia o altre fibre vegetali intrecciate, fino ad arrivare alle case edificate su molti piani, passando attraverso la baita d’alpeggio o il ricovero stagionale. In ogni caso, sotto lo stesso tetto si riposa e si lavora, si ricoverano insieme persone e animali. Solo gli ovili vengono costruiti a parte.

L’ambiente alpino dei due Parchi ha sempre imposto delle pesanti restrizioni alle attività agricole: stagioni vegetative brevi e pendii acclivi da rendere produttivi attraverso la costruzione di terrazzamenti a secco, campi talvolta difficili da raggiungere e da irrigare, un clima che oltre un certo limite altitudinale non consente la crescita di piante preziose, come il grano e il castagno… Anche la topografia tormentata del terreno, esito delle molteplici situazioni geomorfologiche locali, ha reso la vita difficile a generazioni di contadini.

In condizioni di forte precarietà, si è sviluppata una società abbastanza egualitaria, basata su modelli famigliari ben più numerosi e complessi rispetto ai nuclei cui siamo oggi abituati.  Si costruiva per tenere lontane le Frei, Fam, Fum (Freddo, Fame, Fumo) i tre «diavoli» che regnavano sul focolare domestico. Mentre la casa rurale appare soprattutto come un elemento dell’unità di produzione, dove ogni ambiente mira all’essenzialità e alla funzionalità, lo stimolo a ostentare e sfoggiare si concentra sugli edifici che rappresentano l’intera comunità, e in particolar modo sulla chiesa del paese o della borgata, che trasferisce nel legno, nella pietra, negli arredi e talvolta in bellissimi dipinti la fierezza dei residenti (per saperne di più: vedere la Scheda 11_Arte e religiosità).

Edifici legati alla produzione

La struttura e il tipo dei fabbricati sono in stretta dipendenza dal modello a lungo dominante di economia alpina basato sull’agricoltura, la pastorizia, la selvicoltura e orientato verso una sostanziale autosufficienza alimentare.

Il tipo di roccia e la qualità del suolo, l’esposizione dei versanti e il clima determinano produzioni differenti che richiedono diverse soluzioni architettoniche.

Per esempio i grandi essiccatoi esposti al sole, che occupano i sottotetti delle case della media Valle del Var, indicano una coltura del fico particolarmente sviluppata. In Vésubie, e negli insediamenti piemontesi sotto i 1000 metri, le soffitte ventilate consentivano di essiccare le castagne per affumicamento. In Val Tinée e nell’alta Valle Bévéra, la moltitudine di baite e di ricoveri temporanei, dispersi su tutto il territorio comunale, indicano un sistema di migrazioni stagionali volto ad assicurare una sufficiente produzione cerealicola e il pascolo delle mandrie e delle greggi. Nelle alte valli del Var e della Tinée si ergono delle imponenti cascine che annunciano già l’architettura delle Alpi centrali (Savoia, Svizzera, Austria, Italia del Nord). Edificate in un ambiente estremo per un insediamento permanente, esse necessitano di terreni agricoli intorno all’abitato, modello atipico nel territorio intorno a Nizza.

Per ciò che concerne il versante italiano, salendo di quota si assiste a un progressivo passaggio dalla tipologia a case sparse al modello della borgata, con l’incremento delle attività legate alla pastorizia. Normalmente gli insediamenti di case sparse alle basse altitudini hanno il nome di teit (“tetti”), mentre le borgate alle quote più alte quello di rouà. In valle Gesso, però, il termine teit o tàit viene utilizzato anche per frazioni poste a 1.200-1.300 metri d’altitudine.

Al di sopra del piano degli insediamenti permanenti, vi è infine la zona degli alpeggi estivi. Qui l’elemento insediativo base è costituito dal giàs, termine col quale si indica non solo l’abitazione temporanea del pastore (il casot), ma l’insieme dell’area contenente le strutture necessarie all’espletamento dell’attività pastorizia: i recinti per gli animali (i parc), le costruzioni con volta in pietra e copertura in terreno vegetale incassate nel pendio e destinate alla conservazione dei formaggi (sella o truna).

La differenza tra basse e alte quote, oltre che sulle tipologie abitative e sulle loro modalità di aggregazione, si ripercuote anche sulle caratteristiche costruttive. Se le case alle basse altitudini spesso sono costruite secondo modalità simili alla pianura (bassa pendenza delle coperture, ecc.), quelle alle alte quote presentano invece caratteri costruttivi specifici. Il dato più evidente è sicuramente l’elevata pendenza delle falde dei tetti, determinata dall’antico uso della paglia di segale - diffuso anche nelle valli Stura e Vermenagna - per il manto di copertura. La forte inclinazione era finalizzata al rapido scivolamento della neve, in modo da evitare il collasso della struttura portante della copertura, dimensionata per reggere pesi limitati.

Materiali per costruire Muri, soffitti, pavimenti

La scelta dei materiali è strettamente legata all’ambiente naturale e ai materiali che da esso possono essere ricavati: non dappertutto c’è abbondanza di boschi o di pietre adatte per la copertura dei tetti (lose).

Per esempio, sul versante francese la pietra rappresenta un materiale da costruzione quasi esclusivo mano a mano che si scende verso la riviera, mentre cede progressivamente il campo al legno via via che si risalgono le vallate verso nord. Gli esempi più tipici legati all’architettura in pietra si trovano nella Valle Bévéra, mentre la Valle della Tinée offre un bell’esempio del passaggio progressivo dalla pietra al legno.

Sul versante italiano tende a prevalere quasi ovunque la pietra. Le costruzioni in quota possono essere con struttura tutta in pietra, o di tipo misto pietra-legno. In quest’ultimo caso generalmente i muri in pietra arrivano fino all’altezza della linea di gronda, ossia nel punto più basso delle falde della copertura. I due spazi triangolari che si vengono a formare tra il limite superiore del muro in pietra e le due falde sono chiusi con un assito fissato sulle capriate della copertura.

Si registrano soltanto pochi casi di utilizzo del modello del blockbau (abitazione con pareti di tronchi di legno sovrapposti e incastrati agli angoli, tipica di Beuil e di San Bernolfo, frazione di Vinadio). Non si tratta di un retaggio ligure, né romano: forse la tecnica dei tronchi incastrati è il frutto di una migrazione dei Burgundi attraverso la Savoia e il Delfinato quando queste regioni, compresa la Provenza, facevano ancora parte del Regno Burgundo (V secolo d.C.), o forse si tratta di una penetrazione di modelli provenienti dalla settentrionale area degli Escartons.

Dove il legno da costruzione di qualità si fa raro, è la pietra a essere largamente impiegata, come succede nelle basse valli della Roya e della Bévéra. Qui le rocce calcaree hanno permesso di sviluppare un’arte della volta molto elaborata, applicata a ogni tipo di fabbricato. Derivato del calcare, anche la calce occupa una posizione importante nelle tecniche di costruzione, fino a essere impiegata come materiale di copertura, sotto forma di un intonaco di malta stesa sulla superficie esterna della volta e lisciata alla cazzuola (i casouns della Roya, che si trovano, per esempio, a Breil).

In Val Vésubie, i blocchi di gesso sono tenuti insieme da una malta ottenuta con lo stesso materiale, dal caratteristico color ocra, che si ritrova anche nel bacino di Sospel, in Valle Bévéra.

Alle quote più alte, il legno è invece molto presente, associato alla pietra a secco o murato a calce, sotto forma di travi incastrati o di perlinatura esterna.

Tetti

Anche la distribuzione dei materiali di copertura è molto eterogenea. Al sud domina la tegola, che scompare invece, quasi del tutto, al nord e nella Valle Stura, dove si impone la scandola di larice o di abete rosso. Soltanto nell’alta Roya ci si avvale della lastra di scisto. Scandola e losa coesistono, invece, in Vésubie e in Tinée, associati alla paglia di segale che tende a essere riservata alle costruzioni agricole sparse. A partire dal Rinascimento, le comunità francesi prendono delle misure per proibire l’uso della paglia come copertura negli ambienti urbanizzati. È il caso di Saorge, nel 1465, dopo l’incendio del paese, o di Saint- Martin-Vésubie, nel 1470. L’impiego di lastre di scisto violaceo si diffonde e diventa caratteristico della Valle Roya.

Sul versante italiano, l’impiego della paglia di segale per la copertura dei tetti si è protratto in alcuni casi fino agli anni Sessanta del ‘900. Meritano una visita alcuni insediamenti abbandonati davvero notevoli posti appena sopra l’abitato di Sant’Anna (Valdieri), Tetto Virutra nel comune di Roaschia, alcuni tetti delle frazioni di Desertetto e di Esterate (Entracque) e quelli intorno a Palanfré (Vernante). Senza naturalmente dimenticare i diversi giàs, che si trovano al fondo dei valloni laterali, inseriti in un quadro geomorfologico e paesistico già di alta montagna.

In tempi recenti, l’Ecomuseo della Segale ha fatto ricostruire secondo le antiche tecniche due tetti in paglia di segale presso tetti Bariao e Bartola e uno in paese a Sant’Anna. Le coperture in paglia di segale assicurano un ottimo isolamento e possono resistere alle intemperie per un periodo di circa trent’anni. Oggi la paglia di segale rientra nei materiali richiesti e impiegati nella bioedilizia.

La copertura dei tetti con lose comporta un carico di lavoro maggiore dovuto all’estrazione, alla lavorazione, al trasporto delle pietre e alla necessità di un’orditura robusta in grado di sostenere il peso della pietra. L’impiego del legno diminuisce dopo il Medioevo perché la materia prima si fa scarsa sotto l’aumentata pressione demografica e della pastorizia. A queste cause si devono sommare le richieste di legname destinato ai vicini cantieri navali della riviera. I comuni proprietari della maggior parte delle foreste, impongono così restrizioni al taglio e all’utilizzo delle piante. Nel 1610, a Saorge, la foresta del Cairos viene salvaguardata con un regolamento severo che influenza l’impiego dei materiali da costruzione: scompaiono i pavimenti in legno come anche le travature dei tetti soppiantate dalla volta a “vela”. Non a caso nelle valli del Cians e della Tinée, le baite costruite con la tecnica del Blockbau su fondamenta di pietra a secco sono le più antiche: progressivamente la pietra sostituisce il legno, che si usa anche per ricoprire la facciata.

Zoom: l’arte della pietra

Il contesto sociale del processo costruttivo, la mancanza di utensili e di infrastrutture per la trasformazione e il trasporto dei materiali, spiegano l’utilizzo della pietra allo stato grezzo, come pure la sproporzione tra le masse delle pietre e dei travi utilizzati e gli sforzi reali a cui erano soggetti. Competenze elementari, come la tecnica della pietra a secco, permettono di dare una risposta soddisfacente ai bisogni abitativi. Ereditata dall’epoca pre-romana, essa ha permesso la coltivazione di versanti anche scoscesi grazie alla costruzione di muri di sostegno (terrazze), caratteristici di entrambi i versanti delle Marittime. La pietra a secco è stata impiegata per edificare ricoveri, costruzioni a uso agricolo o abitazioni temporanee. Nell’alta Bévéra, la stessa tecnica ha permesso di realizzare le ghiacciaie che hanno rifornito di pani di ghiaccio gli stabilimenti balneari della Costa Azzurra a partire dal XIX secolo. L’apertura di strade nelle valli e di tracciati militari che collegavano le diverse opere di fortificazione ha richiesto l’impiego di un gran numero di uomini, fra maestranze venute da lontano e mano d’opera locale esperta nell’arte della pietra a secco. Uno degli esempi più straordinari di impiego della pietra a secco è la rotabile militare che unisce i laghi di Valscura e il lago del Claus: il lungo tratto lastricato, realizzato dagli alpini all’inizio del ‘900, permette di oltrepassare un tormentato ammasso di blocchi e sfasciumi di roccia camminando su grossi blocchi incastrati con maestria. È come se la pietraia si distendesse ai piedi dell’escursionista: un intervento in perfetta armonia con l’ambiente.

Associata a fibre vegetali intrecciate, la pietra ha inoltre fornito ricoveri (chiamati, a seconda delle zone, vastieras, trune o giàs) ai pastori e alle greggi. Alcune di queste costruzioni sono diventate le stalle di oggi, costruite nel corso del XIX secolo. Questi edifici sono composti, oltre che dalla stalla vera e propria, da piccoli caseifici a volta e da un edificio che ospita il focolare e i pastori. La stalla dell’Arp e quella di Cabane vielhas, sull’Authion, sono una testimonianza di quest’evoluzione.

Un patrimonio architettonico originale

Il patrimonio costituito dalle costruzioni rurali delle Alpi sud-occidentali presenta una grande ricchezza, tanto per la diversità dei tipi e delle forme architettoniche, quanto per i materiali e le tecniche impiegate.

Un patrimonio di cui è stata riconosciuta l’importanza solo da qualche anno a questa parte: amministratori e attori del territorio hanno capito che qualificare e valorizzare l’architettura di montagna non è solo un’operazione di spessore storico e culturale, ma anche un fattore di sviluppo economico (il turismo trae beneficio dalla cornice di un paesaggio armonioso) e un elemento di identità locale.

In passato le cose stavano diversamente. Nella seconda metà del Novecento, il rapido e definitivo declino dell’economia alpina tradizionale ha infatti comportato un abbandono dei modelli insediativi ed edilizi storici. Questi modelli storici sono stati sostituiti da penetrazioni di modelli culturali e di consumo in arrivo dalle città e dalle pianure. Così in molte località delle Alpi del Sud, le case delle borgate sono state sfigurate da “innesti” di elementi di matrice urbana (ringhiere “moderniste”, balconi in cemento armato, serramenti, ecc.). In Valle Gesso, questa fase va di pari passo con la trasformazione del territorio provocata dalla realizzazione dei poderosi invasi Enel, che porterà alle prime rivendicazioni in senso ambientalista.

Gli anni '60-'70 sono in Italia gli anni del boom economico, in cui si diffondono il turismo di massa e l’automobile individuale. Nelle Alpi occidentali italiane si afferma il modello turistico della seconda casa, determinato anche dalla particolare struttura geografica del Nord-ovest: valli corte, che guadagnano velocemente quota, disposte a raggiera intorno alla pianura, e grandi aree metropolitane prossime ai rilievi. Una configurazione - totalmente differente da quella francese - che consente agli abitanti di Torino, Milano, Genova di raggiungere tramite spostamenti relativamente brevi i luoghi turistici montani ogni fine settimana. Senza contare che il successo dello sci di massa, il boom della borsa e il basso livello degli interessi del periodo costituiscono un chiaro invito a investire nell’edilizia in territorio alpino.

L’immagine dell’architettura di montagna è ritornata in auge con gli anni Settanta, grazie ai turisti, ma si trattava di un’idea di montagna generica, slegata dal territorio specifico, e caratterizzata da decori rusticheggianti, balconi prefabbricati in stile bavarese e cadorino, rivestimenti lignei di tutte le fattezze, recinzioni in stile.

Solo con gli anni Novanta si inizia a pensare al recupero reale del patrimonio costruito. Qui l’azione dei Parchi è stata ed è fondamentale.

Al volgere del nuovo secolo, evitati i danni della speculazione edilizia che così tante tracce ha lasciato in altri luoghi delle Alpi Sud-occidentali, lo spazio transfrontaliero Marittime-Mercantour offre al visitatore un paesaggio e un patrimonio architettonico che parlano delle molte storie che nel corso del tempo si sono sedimentate su queste montagne.

Sito realizzato nell'ambito del PIT "Spazio transfrontaliero Marittime Mercantour" Programma ALCOTRA 2007-2013 e rivisto e aggiornato con il progetto: