Lou pastre

Francesco Biamonti

Nubi... gli parvero nubi le pecore di un gregge a cui si avvicinava, e sacri i gesti con cui un pastore incappellato d'azzurro tratteneva il cane. Guardarono entrambi incuriositi, pastore e cane. Lo fissavano con occhi tristi, occhi di colleghi, di habitués delle solitudini sulle cime che il vento tocca da mane a sera. Poi, dopo un saluto, il pastore domandò da dove veniva («d’ounte venés?») e se c’era erba laggiù negli uliveti, «dins lou terrain oundado».

Quell’uomo quasi vecchio e quasi sacro spiegò che aveva camminato tutta la notte per abbassarsi, per fuggire l’aria di neve (l’auro de nèu), nemica a chi aveva tutti i suoi beni in sangue, in sangue di dio. Parlava provenzale in una strana cantilena, con la cadenza delle Alpi Marittime: a toni alti come singhiozzi seguivano suoni in calando e strascicati, dolcezze da berceuse. […]Gregorio lo invitò a scendere negli ulivi, che tanto erano abbandonati: danno non ne poteva fare. Ma il pastore negò con la mano. I contadini non amavano «lou pastre», aggiunse. Al pastore, a «lou pastre», disse rassegnato, erano destinati solo pietrischi e terreni magri, o quelli rocciosi sul mare, ove cresceva un’erba dura come spago e cespugli che nessuna bestia gradiva. Che strana cantilena. A toni squillanti seguivano toni più bassi e più lunghi. Si capiva a malapena. Ma a chi parlava? agli angeli o a se stesso sembrava parlare quell’uomo.

Aveva a tracolla bisaccia e bastone, e di colpo sfilò il bastone per andarsene. Andava lento ma sicuro come gli antichi portatori di sale, e forse per lo stesso loro sentiero. Era seguito e preceduto da capre e pecore a frotte. Andava lento, ma andava, in mezzo a tutto quel sangue di dio la cui vita si muove. Sparì fino alla cintola oltre il crinale, poi fino alle spalle, poi tutto quanto. S’inforrava dall’altra parte, nei gerbidi rocciosi, nelle macchie di lentischi. Andava inesorabile. Non compiva giri a vuoto, né si lasciava, come un marinaio, assediare dal sogno. Nel nuvolo, nella neve o nell’azzurro (dins la bluiour) la vita di tutto quel sangue urge.

Da: L’angelo di Avrigue, Einaudi, 1983.

Francesco Biamonti

Scrittore (San Biagio della Cima 1928-2001), giunto alla ribalta letteraria all’età di 50 anni, ambientò la maggior parte dei suoi romanzi nell’entroterra ligure di Ponente. In Parole e la notte (1998), la sua opera migliore, Biamonti descrisse l’incontro fra liguri e provenzali, attraverso l’intreccio di esperienze e tradizioni che rispecchiano la ricchezza di entrambe le culture.

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