Musei ed ecomusei delle Alpi del Sud

Chiavi per comprendere, laboratori di futuro

Di sicuro, visitare e percorrere di persona il territorio resta il miglior modo possibile per conoscere un luogo, ma questo non rende meno utile e affascinante scoprirne la storia. Il visitatore è per forza di cose prigioniero del suo tempo, che non gli permette di entrare in contatto immediato con il passato, recente o remoto, che lo circonda. Il rischio è quello di non avere che una visione superficiale e frammentaria di ciò che è stato. Diventa allora indispensabile mettere a disposizione dei visitatori degli strumenti per informarsi, delle chiavi speciali per leggere la realtà culturale di un territorio. Gli ecomusei e i musei del territorio sono una di queste chiavi.

Nati dalla curiosità…

I musei etnografici del territorio sono relativamente numerosi nelle valli dei due Parchi: la loro varietà permette un notevole arricchimento e approfondimento della storia e della cultura dello spazio transfrontaliero. Spesso di creazione relativamente recente, i primi risalgono a circa trent’anni fa e testimoniano in primo luogo una nuova curiosità da parte degli abitanti delle vallate rispetto al proprio patrimonio culturale tradizionale: è infatti per conservare la memoria delle proprie radici che hanno deciso di aprire dei musei.

Dopo una lunga stagione di spopolamento delle valli alpine, che talvolta si è tradotto nell’abbandono totale di alcune zone, a partire da qualche decennio si è ricominciato a valorizzare dei modi di vivere e delle pratiche culturali che troppo in fretta erano state date per estinte, spazzate brutalmente via dalle invadenti comodità della vita moderna.

Dei saper fare originali, delle produzioni caratterizzate in maniera precisa per gusto e qualità, delle tradizioni ancora vive, degli oggetti e dei documenti conservati con cura permettono oggi di ricomporre il volto di un modello culturale alpino elaborato nel corso dei secoli e di mostrarne l’attualità.

Questo dovere di rispetto, che chiede di non dimenticare, nato dagli abitanti dei territori e rivolto essenzialmente a loro stessi, si accompagna alla volontà di farsi conoscere da visitatori e curiosi: questa doppia esigenza, di ritrovare se stessi e di presentarsi agli altri, spiega la predominanza degli ecomusei o musei del territorio nelle Alpi del sud.

In Francia come in Italia, il declino della cultura alpina, accelerato dalle conseguenze delle due guerre mondiali,  ha condotto in un primo momento ricercatori e eruditi a raccoglierne le vestigia per consegnarle ai grandi musei urbani. Il Musée Dauphinois de Grenoble, il Musée ethnographique de Genève, il Museo alpino di Torino, per citare solo tre degli esempi principali, sono così diventati i depositi delle vestigia della vita materiale e culturale degli alpigiani. Le loro ricche collezioni presentate generalmente in modo molto didattico, sono state assemblate in una certa misura spogliando i luoghi delle ricerche. Oggi si può disapprovare questo aspetto, certo, ma d’altra parte questo “lungimirante saccheggio” ha anche permesso di conservare in buono stato degli oggetti che, avendo perduto la loro funzione e il loro valore, erano destinati a essere gettati via e a sparire. La conoscenza scientifica delle realtà antropologiche alpine al tramonto ha potuto impiegare e attinge tuttora dal patrimonio materiale conservato nei musei: ognuna delle frequenti mostre dedicate e ogni articolo scientifico a tema ne è la dimostrazione.

...nati dalla nostalgia...

Tuttavia la vita quotidiana in montagna non era destinata a spegnersi del tutto, bensì a rinnovarsi: a partire dal secondo dopoguerra si è assistito a una progressiva inversione del trend demografico. La popolazione smette di diminuire, si stabilizza o addirittura, in alcuni casi, aumenta. Questo vale soprattutto per le valli francesi, mentre sul versante piemontese lo spopolamento si è protratto più a lungo. In entrambi i casi, in cerca di ritmi meno stressanti e di una migliore qualità della vita o per numerosi altri motivi, molti cittadini hanno risalito le valli per stabilirsi in montagna, sulle tracce dei loro antenati o alla scoperta di una nuova dimensione.

Si è rapidamente sviluppata una nuova economia, fondata sul turismo, il soggiorno residenziale, il restauro dei vecchi immobili e la gestione dello spazio alpino. È stata una fase di trasformazione delicata, sovente segnata da facili speculazioni edilizie, facilitate dall’esplosione dei mezzi tecnici e dal boom economico e spesso incoraggiate dall’opportunismo dei politici locali. Un profondo movimento di rivalutazione dei valori culturali tradizionali è sorto in risposta alla modernizzazione: ne sono scaturite un gran numero di associazioni deputate alla conservazione del patrimonio, centri di studi e di ricerche, società di studiosi e altri gruppi di cultura e di ricerca.

È da questo movimento che sono nati i musei del territorio che oggi noi conosciamo. Non potendo più ruotare intorno a un patrimonio che le generazioni precedenti avevano disperso, molti si sono fondati allora sulla volontà di conservare per il futuro la memoria di un modello culturale presentato come esemplare e sostenuto come possibile soluzione ai problemi posti da un avvenire incerto. Questa linea pecca evidentemente di scientificità: deriva più da affermazioni che da dimostrazioni. Ne risulta spesso una prospettiva carica di nostalgia, che propone la descrizione paradossale di un tempo in cui la vita era migliore, nello stesso tempo in cui si afferma che l’esistenza nel passato era precaria, segnata dalla povertà quando non addirittura dalla miseria. Ci si adopera a valorizzare gli oggetti e gli strumenti ottenuti dal recupero sapiente dei materiali, si mettono in evidenza le risorse spontanee ricavate direttamente dall’ambiente, si decantano gli umili divertimenti durante le veglie serali trascorse nel calore delle stalle, si elogia il devoto mantenimento di tradizioni senza tempo, e così via. Questo quadro idilliaco trascura del tutto la realtà della vita in montagna certo faticosa, ma in grado di autosostenersi anche grazie a risorse supplementari che permettevano di rendere più confortevoli le case e più ricchi i santuari locali. Ci si dimentica anche di sottolineare l’attenzione per il dettaglio puramente estetico, spesso costoso in termini di tempo e denaro, espresso dall’arredamento, dai monili per persone e animali, dalla decorazione delle case con architravi scolpiti o meridiane dipinte… queste immagini di industriosità e raffinatezza nel gusto si sposano male con l’archetipo del buon montanaro: povero, ignorante e rozzo, ma pio e schietto di cuore. Infatti, per molti degli animatori di questi musei, questi ultimi sono fatti per esprimere l’interpretazione contemporanea della vita degli alpigiani.

...talvolta nati dal desiderio di futuro!

Gli ecomusei di ultima generazione nascono con una missione che va oltre il dovere di rispetto e il dovere di memoria nei confronti della civiltà alpina tradizionale. Puntano infatti anche a lavorare insieme agli abitanti delle valli per rafforzare i legami comunitari sulla base di una nuova consapevolezza delle peculiarità della storia e delle tradizioni locali, per animare a vita culturale, dando supporto a progetti di recupero autonomi e spontanei, per sviluppare uno stretto ed equilibrato rapporto di appartenenza reciproca fra il territorio e suoi abitanti, per studiare le emergenze storiche e artistiche, per valorizzare al meglio le potenzialità economiche delle valli e promuovere il recupero di coltivazioni e produzioni a filiera corta capaci di trovare oggi un nuovo mercato biologico e a km zero.

Scoprire la montagna a 360°

Una visita che voglia dirsi completa dello spazio alpino dovrebbe includere la visita dei musei di scienze naturali e dei musei locali, oltre che privilegiare l’esperienza diretta. Sono tre spazi complementari - ciò che si sa, ciò che si tramanda, ciò che si vede - che contribuiscono insieme a una conoscenza globale della cultura alpina. È fuor di dubbio che gli ecomusei contribuiscano alla salvaguardia del patrimonio dei territori e spesso alla loro vita economica grazie al flusso di visitatori che generano e ai laboratori e agli esercizi che promuovono. Vanno inseriti in un fenomeno d’insieme di cui sono una delle espressioni. Ormai le istituzioni culturali sono un asse essenziale dello sviluppo della montagna, capace di presentare e proporre la propria storia e la propria cultura. Il modo stesso in cui gli abitanti delle valli scelgono di presentare il passato e la tradizione dei propri paesi fa parte di questo nuovo modo di guardare alla montagna.

Ecomuseo si dice in molti modi

Spesso ai margini delle grandi correnti contemporanee di sviluppo economico, talvolta ignorata quando non anche nettamente disprezzata, la cultura alpina rivendica ormai orgogliosamente il proprio valore. I musei che la presentano sono quindi degli enti dallo statuto particolare, che associano conservazione e prospettive di futuro. Si possono suddividere in un certo numero di grandi categorie e sono equamente distribuiti sui due versanti della catena alpina, anzi, spesso sono protagonisti di solide collaborazioni transfrontaliere.

Possiamo dunque trovare:

  • i musei che si propongono di raccogliere ed esporre gli elementi della vita quotidiana di un tempo, “dalla culla alla tomba”, come recita il titolo dell’opera dell’erudito Euclide Milano, protagonista principale del recupero e dell’inventario della cultura materiale e immateriale delle valli cuneesi all’inizio del Novecento;
  • i musei organizzati intorno a un tema artigianale o industriale (filatura, energia idraulica e così via…);
  • i musei dedicati a argomenti storici, spesso installati all’interno di un monumento (fortificazioni, filatoi, mulini, siti archeologici e così via);

Lo schema è tuttavia lontano dall’essere rigorosamente applicato nella misura in cui, come è ovvio per la sua stessa natura, il museo del territorio finisce per accogliere altre componenti rispetto a quelle previste in partenza, per riflettere al meglio e nella maniera più completa possibile il luogo di cui vuole essere espressione. Così spesso si impone rapidamente una pluridisciplinarità spontanea, che conferisce al museo un arricchimento, rendendone tuttavia talvolta più difficile la leggibilità. Infatti il programma scientifico e culturale che era stato condiviso in partenza rischia di risultare alla fine diluito dalla progressiva accumulazione di testimonianze, oggetti e documenti più o meno legati al territorio ma difficili da mettere in relazione con il tema iniziale.

Le soluzioni a questo dilemma sono diverse e riposano su formule abitualmente applicate nei “grandi” musei: scambi di collezioni che permettono di completare i reciproci patrimoni, allestimento di spazi visitabili dove sono conservate temporaneamente pezzi difficili da esporre in permanenza, programmazione sistematica di mostre che permettono di far girare le collezioni secondo un ritmo annuale o pluriennale. Così organizzata, quella che sarebbe potuta rimanere una semplice accumulazione di oggetti più o meno eterogenei, diventa lo strumento di una vera animazione culturale del territorio.

Sarebbe inutile proporre in questa scheda un elenco completo dei musei dello spazio transfrontaliero. Ogni valle dei due Parchi ne possiede almeno uno e ogni museo differisce da tutti gli altri per come è strutturato e per l’importanza delle collezioni che ospita. Un buon modo per scoprirli è visitare i siti dei due Parchi e il portale www.marittimemercantour.eu.

Sito realizzato nell'ambito del PIT "Spazio transfrontaliero Marittime Mercantour" Programma ALCOTRA 2007-2013 e rivisto e aggiornato con il progetto: